I misantropi

Personaggi solitari per scrittori che non temono di essere sbeffeggiati da critica e pubblico.

JEFF.
Nasce in una cittadina americana di provincia, densamente abitata da persone che hanno la cattiva abitudine di rompere il ghiaccio. Pronuncia le prime parole davanti a un gatto persiano e ottiene un compassionevole miagolio come risposta. I suoi genitori sono perfetti: all’inizio fingono di non vederlo, poi sviluppano la capacità di escluderlo dal campo visivo senza sforzo. A scuola mostra doti spiccate: trova nascondigli impensabili in presenza degli esseri viventi di sembianze antropomorfe. Un ventriloquo sul viale del tramonto tenta di rapirlo per usarlo come pupazzo, ma questo progetto è sventato dal provvidenziale intervento di un epistemologo svedese alto più di due metri. Jeff dedica al gigante scandinavo qualche secondo di mutismo riconoscente e poi fugge verso casa, per essere di nuovo accolto da una rassicurante indifferenza.

ROBERT.
Trova lavoro come operaio per un tragico equivoco. Evita di proferir parola davanti agli altri e stringe amicizia con i macchinari più silenziosi, mostrando una particolare predilezione per la vecchia impacchettatrice. Il proprietario della fabbrica, un umanista in incognito, lo ribattezza “impastatore ermetico”. Spera che quel dipendente così enigmatico interrompa il mutismo per chiedere il motivo di tale soprannome. Tutto inutile, Robert non è il tipo che si fa incuriosire dai comportamenti umani.

Il piromane

INCIPIT.
In quel negozio c’erano i migliori fiammiferi della città. “Puoi usarli per bruciare qualsiasi cosa”, gli disse un fumatore di pipa. Olson gli credette. E non notò che la pipa di quell’uomo non produceva fumo, ma nuvole di vapore. Era elettronica.

LA TRAGEDIA.
Giovanni Olson, figlio di Bretta e Peter, nasce a Stoccolma in autunno. Suo padre è noto per questa dichiarazione, resa davanti a testimoni attendibili: “Bretta vuole chiamare nostro figlio come l’idraulico italiano che viene a ripararci i rubinetti. Sono d’accordo. Questa coincidenza non desta in me alcun sospetto”. Peter è famoso anche come autore di un feroce omicidio: due proiettili nei cuore di un idraulico, guarda caso italiano.

INFANZIA.
Torniamo a Giovanni. L’arresto del padre sconvolge la sua mente. All’età di sei anni è colpito da un singolare disturbo psichico: la fobia per le giornate calde. Ma non se ne accorge nessuno perché il bambino vive in Svezia. Durante l’adolescenza si fa notare per l’inettitudine sportiva. Per fortuna può contare su compagni di classe molto tolleranti. Non lo prendono in giro: si limitano a picchiarlo silenziosamente. Ma Giovanni non sembra turbato da questa circostanza. Poi diventa un piromane.

IL PIANO.
Olson comincia a bruciare cose di scarso valore, come i vestiti dei coetanei e alcune risme di CV provenienti dall’Italia, trovate nel magazzino di una multinazionale. Ma il suo scopo è un altro: vuole dar fuoco agli armadi che contengono sogni nei cassetti.

EPILOGO.
Un’amara constatazione attende il nostro eroe quando sembra giunto il momento di passare all’azione. Certi armadi sono costruiti con materiali sintetici che non prendono fuoco. Giovanni, costretto ad affrontare i suoi fallimenti, diventa un complottista nemico dei rettiliani. Alla fine riesce a bruciarsi il cervello. Meglio di niente.

Settima arte

Torna “Stanislavskij”, un’inquietante rubrica di questo blog. Storie di attori disposti a tutto pur di calarsi nel personaggio.

“Per il personaggio di Vincenzo Mollica nessuno è più indicato di te”. Omar fece uno sforzo per non sentirsi offeso e prese quella sentenza con filosofia. Per la settima arte, questo e altro. Tornò in camerino e cominciò a parlare da solo di fronte allo specchio. Lo faceva spesso per farsi coraggio. Prima di congedarsi dalla sua immagine corpulenta (che gli era valsa la parte) disse: “Comincerò a pensare con la sua testa. Parlerò come lui”. Poi si tolse il costume di scena e ne indossò un altro, invisibile. Era teso, sfinito, segnato da una giornata di litigi con la troupe; ma doveva rimanere concentrato. Tornò a casa e notò che Anna, sua moglie, aveva cambiato pettinatura. Sfoggiava un’orribile permanente. “Come mi sta?”, gli chiese. “La tua pettinatura è poetica, sublime, struggente, pura arte”. Omar era soddisfatto: sentiva di essere sulla buona strada.

“Finalmente ho ottenuto la parte di Walter Veltroni. È il sogno della mia vita che si realizza”. Così disse Ivan in conferenza stampa, sparando la sua prima cazzata. Era solo l’inizio. Nei mesi successivi ne avrebbe dette molte altre, per essere pronto a indossare i panni di Veltroni con naturalezza.

Le mattine di Gian erano dedicate alla scrittura. Inventava poesie ispirate ai pensierini di suo figlio, uno scolaro poco dotato della scuola elementare. Riempiva fogli con verbi all’infinito, nel vano tentativo di condensare sulla carta primordiali suggestioni new age. Poi usciva di casa e visitava una rivendita di tappeti, gestita da un suo amico molto paziente. Osservava con attenzione gli articoli del negozio, mentre si facevano calpestare da esponenti della borghesia romana. Voleva carpire i loro segreti, imitare quella loro ossequiosa aderenza al pavimento, per essere un protagonista credibile dello sceneggiato sulla vita di Sandro Bondi.